*Stefania Bisaglia, Dirigente del Servizio IV Circolazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura
*Lia Montereale, Funzionario amministrativo presso la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura in qualità di responsabile del coordinamento degli Uffici esportazione e del contenzioso
Foto tratta dal SUE (Sistema informativo uffici esportazione), su autorizzazione della Direzione generale Archeologia belle arti e paesaggio – non riproducibile.
Adorazione dei pastori, XVI-XVII secolo
1. Inquadramento giuridico
Ai sensi dell’articolo 72 del d.lgs. n. 42 del 2004, recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, è in facoltà del soggetto interessato chiedere all’Ufficio di esportazione la certificazione attestante la spedizione in Italia da uno Stato dell’Unione europea (CAS) o l’importazione da uno Stato terzo (CAI) delle cose di cui all’articolo 65, comma 3, del Codice, ossia:
a) le cose di interesse culturale, a chiunque appartenenti, che siano opera di autore non più vivente, la cui esecuzione risalga a oltre 70 anni e il cui valore sia superiore a 13.500,00 euro;
b) gli archivi e i singoli documenti di interesse culturale appartenenti a privati;
c) le cose rientranti nelle categorie di cui all’articolo 11, comma 1, lettere f), g) e h).
La lettera a) contempla gli stessi oggetti per i quali, in uscita, è richiesto l’attestato di libera circolazione. Tuttavia, con circolare, su richiesta delle categorie interessate e con l’avallo dell’Ufficio legislativo, la Direzione generale Archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura ha ritenuto di estendere, in via interpretativa, il rilascio delle certificazioni in ingresso (c.d. CAS/CAI) alle ipotesi di ingresso nel territorio nazionale dei beni c.d. sotto soglia (aventi più di 70 anni e valore fino a 13.500 euro), nonché ai beni tra i 50 e i 70 anni.
Il certificato di avvenuta spedizione, come quello di avvenuta importazione, è rilasciato sulla base di una descrizione dell’oggetto riportata, dall’importatore, nella richiesta di attestazione di ingresso temporaneo in Italia compilata sul SUE (sistema informativo uffici esportazione) e in base all’esibizione di documenti idonei a identificare l’oggetto da introdurre in Italia e a comprovarne, in maniera oggettiva, la provenienza dal territorio dello Stato estero dal quale risulta spedito o importato[1]. Proprio al fine di assicurare l’oggettività di una tale certificazione, l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 72 in esame ha escluso che la provenienza estera degli oggetti d’arte possa essere comprovata da atti di notorietà rilasciati dall’interessato stesso o da dichiarazioni sostitutive dei medesimi, anche se rilasciati da soggetto straniero: deve trattarsi di certificazione oggettiva (quale fattura, certificazione d’acquisto presso casa d’aste, etc) attestante la provenienza estera degli oggetti (si vedano al riguardo gli allegati di cui al decreto ministeriale 246 del 2018 che elencano la tipologia dei documenti necessari).
2. Effetti giuridici conseguenti al rilascio dei certificati in ingresso
L’articolo 72 non precisa quali siano gli effetti giuridici conseguenti al rilascio di detti certificati. Tuttavia, l’importatore è indotto a richiedere il certificato in ingresso in quanto esso implica, secondo la prassi corrente, che la cosa di cui è certificato l’ingresso temporaneo in Italia non possa essere assoggettata alle disposizioni nazionali per la tutela del patrimonio culturale, quale che ne sia il rilievo sotto il profilo dell’interesse culturale. Infatti, al rilascio della predetta certificazione, per dottrina e giurisprudenza costanti, discende la non applicabilità della disciplina di tutela italiana ai beni in ingresso dall’estero. In particolare, con il parere n. 5071 del 9 marzo 2009, l’Ufficio legislativo del Ministero ha specificato che “l’istituto dell’ingresso temporaneo, attualmente disciplinato dall’art. 72 del Codice, consente ad un’opera d’arte di provenienza estera di poter permanere, per un periodo temporale definito, ma prorogabile, nel territorio nazionale restando tuttavia sottratta alle relative disposizioni di tutela, in deroga al principio della territorialità della legislazione di settore (principio di cui l’art. 65 del Codice, in materia di controllo all’esportazione, costituisce una chiara applicazione)”. In detto parere si legge ancora che “… la richiesta della certificazione di ingresso temporaneo si configura come un adempimento a fronte del quale il richiedente beneficia, per gli oggetti d’arte da lui importati o spediti, di un regime giuridico che è in deroga al principio di territorialità della tutela”. Al contrario, in caso di ingresso in Italia in assenza di richiesta, o di richiesta effettuata oltre il periodo di tempo consentito (per prassi 40 giorni dall’ingresso del bene in Italia), gli oggetti sono da ritenersi pienamente assoggettati alla legge nazionale di tutela.
Secondo tale ricostruzione la certificazione in ingresso (che nel frattempo, con le varie modifiche legislative, ha perso la connotazione originaria di “temporaneo”) comporterebbe la deroga al generale principio della territorialità della legge sottraendo la cosa che ne forma oggetto, per un determinato periodo di tempo, alla possibilità di applicazione della normativa nazionale di tutela, indipendentemente dall’interesse culturale rivestito dalla cosa medesima e pur restando detta cosa nel territorio della Repubblica anche per un numero indefinito di anni, essendo la certificazione in esame prorogabile di cinque anni in cinque anni senza soluzione di continuità e senza limiti al numero di rinnovi. Per l’ottenimento dell’attestato a scarico occorre, ai sensi dell’articolo 173 del R.D. n. 363/1913, presentare la cosa e riconsegnare il certificato di ingresso temporaneo al medesimo Ufficio di esportazione che lo ha rilasciato, il quale, a termini del secondo comma dell’articolo 173 citato, “avrà cura di eseguire i più accurati riscontri per accertare l’identità della cosa”, ossia per verificare la esatta corrispondenza, fra la cosa presentata all’uscita e quella che è stata oggetto della certificazione di ingresso temporaneo. Per prassi, a differenza dell’attestato di libera circolazione ordinario che dura cinque anni, l’attestato di libera circolazione “a scarico”, essendo l’attestazione conclusiva di un procedimento avviato con la richiesta e l’ottenimento della certificazione d’ingresso ‘temporaneo”, è utilizzabile una sola volta entro il termine di centoventi giorni dal rilascio. Sulla scia dell’orientamento sopra descritto, inerente agli effetti (in senso derogatorio della normativa di tutela) della certificazione in ingresso, l’attestato a scarico viene generalmente inteso quale atto dovuto, atto cioè che non è possibile negare sulla base dell’interesse culturale del bene entrato in Italia dall’estero. Tuttavia, il principio della doverosità del rilascio di tale attestato è stato di recente messo in crisi ogni qual volta il certificato in ingresso sia stato rilasciato sulla base di un’istruttoria carente, che ne abbia inficiato la validità. In tal caso l’amministrazione ha ritenuto che, pur ostando all’annullamento in autotutela della certificazione in ingresso il decorso del termine di 12 mesi, prescritto dal legislatore per l’azione in secondo grado, tuttavia i vizi di illegittimità concernenti la certificazione, pur a suo tempo rilasciata, impedissero - riverberandosi su di esso - il rilascio dell’attestato a scarico, soluzione che è stata al momento avallata dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Veneto, n. 1634/2024).
Foto tratta dal SUE (Sistema informativo uffici esportazione), su autorizzazione della Direzione generale Archeologia belle arti e paesaggio – non riproducibile.
“Buste representant la Comtesse de Murinais”, XVIII secolo
3. Proroga/Rinnovo
I certificati di avvenuta spedizione (CAS) o importazione (CAI) hanno validità quinquennale e, a richiesta, possono essere “prorogati”, a termini del comma 3 dell’articolo 72 in esame (o “rinnovati”, a termini del primo comma dell’articolo 172 del R.D. n. 363/1913), purché la relativa istanza sia presentata allo stesso Ufficio dal quale è stata certificata l’avvenuta spedizione o importazione dell’oggetto d’arte in Italia, prima della scadenza del quinquennio di validità della detta certificazione (v., in proposito, il primo comma dell’articolo 172 del R.D. ult. cit.). Ai fini della proroga di CAS/CAI si richiede che gli Uffici esportazione procedano all’accertamento dell’identità della cosa in conformità all’art. 172 del R.D. n. 363 del 1913. Nulla è precisato relativamente alla assentibilità della proroga in caso di trasferimento della proprietà del bene a un nuovo avente causa (erede, acquirente, etc); per prassi tuttavia l’istanza di proroga proveniente dal nuovo avente causa viene ritenuta evadibile a favore del medesimo. L’ordinamento al momento non prevede limiti al numero di proroghe o rinnovi, che si susseguono pertanto, come detto, per un numero indefinito di volte, senza soluzione di continuità. Il Codice rinvia la determinazione di condizioni, modalità e procedure per il rilascio o la proroga dei certificati a un decreto ministeriale (cfr. art. 72, comma 4); tuttavia il DM n. 246 del 2018, adottato a seguito della riforma di cui alla legge n. 124 del 2017, non disciplina tali profili, limitandosi a elencare la documentazione necessaria per ottenere tali certificazioni.
4. La giurisprudenza
Con riferimento alla esclusione dell’applicabilità del regime di tutela dei beni entrati in temporanea importazione, si richiama una risalente pronuncia del Giudice amministrativo (TAR Lazio 1351 del 1999) concernente la legittimità di un provvedimento dell’allora Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il quale, in applicazione dell’art. 35 della legge 1.6.1939, n. 1089, era stato opposto il veto all’esportazione di un “sarcofago marmoreo con thiasos marino” risalente alla prima metà del terzo secolo d.C., oggetto di licenza di importazione temporanea. La questione atteneva sia all’individuazione del regime giuridico dei beni di interesse storico, artistico e culturale temporaneamente introdotti nel territorio nazionale sia all’esercizio del diritto di riesportazione.
Nella predetta sentenza il Giudice ammnistrativo ha ritenuto che, in caso di importazione temporanea, stante il carattere solo provvisorio della presenza del bene nel territorio della Stato che corrisponde a peculiari e provvisorie esigenze del proprietario o detentore (temporanea residenza in Italia dello straniero; necessità di restauro della cosa a cura di soggetti particolarmente qualificati; esposizione o comodato in favore di terzi), un possibile veto di riesportazione andrebbe a pregiudicare ingiustificatamente la sfera delle libertà individuali. Nello specifico, il sarcofago era stato acquistato negli Stati Uniti nel 1985 e introdotto nel territorio italiano in regime di importazione temporanea in virtù di licenza di temporanea importazione rilasciata fino al 15 febbraio 1990, poi prorogata per un ulteriore quinquennio. L’allora Soprintendenza Archeologica per il Lazio, Ufficio Esportazione Oggetti Antichità Arte, opponeva divieto alla definitiva esportazione in Svizzera del bene, stante il suo interesse culturale. Avverso il predetto provvedimento la proprietà presentava ricorso, deducendone l’illegittimità per violazione degli artt. 35 e 42 della legge n. 1089/1939 e perché viziato da eccesso di potere per difetto di motivazione. Parte ricorrente lamentava che nel caso di specie non fosse applicabile la disciplina di cui all’art. 35 della legge n. 1089/1939, che riguardava l’esportazione verso l’estero dei beni di interesse culturale, che stabilmente e definitamente appartenevano al patrimonio storico e culturale nazionale e non quelli introdotti in Italia in regime di importazione temporanea. Rilevavano, inoltre, che il veto all’esportazione non era sostenuto da idonea motivazione circa le ragioni a ciò ostative, in relazione al valore intrinseco del bene e al nocumento che ne sarebbe derivato al patrimonio storico e culturale della nazione. I ricorrenti, muovendo dalla disciplina dettata dagli artt. 42 della legge n. 1089/1939 e 169 e ss. del regolamento approvato con r.d. 30.1.1913, n. 363, sostenevano che i beni culturali in regime di importazione temporanea non potevano essere assimilati, quanto all’esercizio del veto all’esportazione previsto dall’art. 35 della menzionata legge n. 1089/1939, agli altri beni che stabilmente e definitivamente compongono il patrimonio storico e culturale della Nazione, rendendo difficoltosa ogni temporanea introduzione di opere straniere nel territorio nazionale a fronte di un possibile veto del ritorno delle stesse all’estero. Il Ministero convenuto affermava, al contrario, come la regolamentazione dell’importazione temporanea dei beni contemplati dall’art. 1 della legge n. 1089/1939 avesse una valenza precettiva ai soli effetti fiscali, mentre, con riguardo all’esercizio dei poteri ministeriali di tutela, l’importazione temporanea dovesse intendersi parificata a tutti gli effetti a quella definitiva.
Il Giudice adito, con sentenza invero non fondata su una specifica norma di legge, ritiene di condividere la tesi sostenuta dai ricorrenti perché l’istituto della temporanea importazione sarebbe rivolto a soddisfare esigenze del tutto diverse da quelle attinenti all’ordinaria tutela dei beni che stabilmente compongono il patrimonio storico e culturale nazionale.
In particolare, il Collegio ritiene che “Va, in primo luogo, osservato che il capo IV della legge n. 1089/1939 alla Sezione II attribuisce autonomo rilievo all'istituto dell’“importazione temporanea” delle cose elencate all’art. 1 della legge medesima. L’art. 42 del testo normativo in argomento prevede, in particolare, l’esercizio da parte dell’Amministrazione di un’apposita potestà certificativa diretta ad identificare con carattere di certezza i beni oggetto di importazione temporanea. Detto accertamento ricognitivo non esplica riflessi solo sul piano fiscale, ma sullo stesso regime giuridico del bene per un periodo di durata quinquennale (eventualmente rinnovabile) quanto ai termini e modi per l’eventuale riesportazione. L’art. 173 del r.d. n. 363/1913 - che fa sistema con le prescrizioni innanzi riferite - nel regolamentare in dettaglio gli oneri della parte privata e gli adempimenti procedimentali da assolversi in caso di riesportazione delle cose temporaneamente introdotte nel territorio nazionale, attribuisce in tale sede all’Amministrazione compiti che si configurano limitati alla stretta identificazione dei beni sulla scorta della pregressa denunzia dell’interessato e del certificato di temporanea importazione precedentemente rilasciato e non prevede l’esercizio di alcun potere di veto che è, invece, specificatamente disciplinato dal precedente art. 144 con riguardo alle ipotesi di esportazione in via ordinaria di cose sottoposte a tutela. Detta disciplina, che è assistita da evidente carattere di specialità, deve trovare applicazione in luogo del regime dettato in via ordinaria dagli artt. 35 e segg. della legge n. 1089/1939 per i casi in cui si intenda esportare all’estero beni che con carattere di definitività e stabilità concorrono a formare il patrimonio storico e culturale della nazione. La ragion d’essere delle disposizioni normative da ultimo richiamate si identifica, invero, nell’opportunità di attribuire all’Amministrazione una sfera di potestà discrezionale tecnica, da esercitarsi di volta in volta con motivata determinazione, a prevenzione del possibile “vulnus” che possa soffrire il patrimonio culturale dello Stato per il depauperamento derivante da un’incontrollata esportazione all’estero dei beni che lo compongono. Tali condizioni e presupposti non ricorrono nei casi di importazione temporanea, stante il carattere solo provvisorio della presenza del bene nel territorio della Stato che corrisponde a peculiari e provvisorie esigenze del proprietario o detentore (temporanea residenza in Italia dello straniero; necessità di restauro della cosa a cura di soggetti particolarmente qualificati; esposizione o comodato in favore di terzi) che verrebbero pregiudicate con ingiustificata compressione della sfera delle libertà individuali, a fronte del possibile veto di riesportazione rimesso all’ampia valutazione di opportunità del Ministero convenuto”.
Tale pronuncia, a cui segue il citato parere dell’Ufficio legislativo del 2009, si limita a richiamare le norme regolamentari del 1913, le quali, nel caso della temporanea importazione, nel disciplinare la successiva riesportazione del bene, non farebbero riferimento al “veto all’esportazione” come invece nel caso dell’uscita non preceduta dalla temporanea importazione. Si tratta tuttavia di norme regolamentari, ben precedenti alla Costituzione del 1948, che non trovano conferma nel Codice dei beni culturali e la cui eventuale esplicitazione normativa susciterebbe seri dubbi di compatibilità costituzionale.
5. Questioni interpretative
Da quanto sopra illustrato, emerge come molti profili che ruotano intorno ai certificati di ingresso (extra-territorialità, durata del certificato a scarico, trasmissibilità delle certificazioni di ingresso agli eredi e/o altri aventi causa, limiti al rinnovo, etc) non poggiano in realtà su una base normativa primaria, ma sono frutto di dottrina, prassi e interpretazioni giurisprudenziali.
In particolare, si osserva che la non applicabilità ai beni che ottengono un CAS o CAI della normativa di tutela nazionale non trova un fondamento normativo primario, ma è stata ancorata dalla giurisprudenza alle norme regolamentari del 1913 (in particolare, alla mancanza del riferimento al veto all’esportazione nel caso della riesportazione) e dal parere dell’Ufficio legislativo del 2009 al principio di extraterritorialità (anche a seguito della soppressione della tassazione degli oggetti d’arte in uscita dal territorio nazionale: “Per conseguenza l’art. 72 del Codice, nella attuale formulazione, e in conformità agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese in varie sedi ed occasioni, regola i casi e i modi in cui un oggetto d’arte in ingresso temporaneo in Italia possa, in deroga al principio della territorialità della legislazione di tutela, rimanere sottratto all’applicazione di detta legge e sottoposto a quella del Paese di provenienza”. L’ufficio legislativo precisa anche che “Ovviamente, perché tale regime di ‘franchigia’ possa legittimamente operare, è necessario che la cosa d’arte arrivata nel territorio nazionale vi sia pervenuta lecitamente, ossia nel rispetto della legislazione vigente nel Paese dal quale essa proviene”).
Tuttavia, alla luce dell’articolo 9 della Costituzione, in assenza di una espressa disposizione normativa primaria (suscettibile, peraltro, di vaglio costituzionale, da cui si dubita potrebbe uscire indenne) sembra potersi dubitare della legittimità di tale regime di “franchigia” discendente dalla certificazione in ingresso che si baserebbe, tra l’altro, su una perdurante applicabilità all’opera del regime del Paese di provenienza di dubbia operatività che si traduce, in concreto, sull’applicazione di nessuna disciplina. Ancor meno tale regime si spiega alla luce dell’ormai condiviso principio della sottoponibilità a tutela nazionale anche delle opere straniere (intendendosi per tali le opere di autore straniero non prodotte in Italia), pur in presenza di determinati presupposti che ne attestino la connessione con il patrimonio culturale nazionale.
Peraltro, molte delle opere provenienti dall’estero risultano invero italiane, con la conseguenza di essere sottratte indefinitivamente dal regime di tutela; anche ove le stesse siano uscite previo rilascio di attestato di libera circolazione, ciò non toglie, in astratto, la possibilità dell’Amministrazione di rideterminarsi sul giudizio precedente, che potrebbe anche essere frutto di un errore di valutazione non più rimediabile con l’attivazione dei poteri in autotutela per mero decorso del termine di 12 mesi. Occorre infine precisare che la recente normativa euro-unitaria in tema di importazione di opere d’arte provenienti da Paesi terzi (cfr. Regolamento (UE) 2019/880 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali e successivo Regolamento di esecuzione 2021/1079) subordina il rilascio della licenza europea di importazione alla liceità dell’uscita dell’opera dal Paese terzo, trovando la sua giustificazione nella condivisibile lotta internazionale al traffico clandestino di opere d’arte, e non prevede, per l’opera importata, alcun regime di franchigia dalla normativa di tutela del Paese di destinazione. Anche a voler riconoscere la sussistenza di detto regime di franchigia, pur in assenza di una espressa previsione in tal senso, si rileva come detto regime di deroga potrebbe in astratto non avere alcun limite temporale, essendo prevista la facoltà di chiedere – senza alcun limite - la proroga del certificato in ingresso, anche da parte di eventuali aventi causa dell’originario richiedente.
Foto tratta dal SUE (Sistema informativo uffici esportazione), su autorizzazione della Direzione generale Archeologia belle arti e paesaggio – non riproducibile.
Epoca romana, comandante Romano (?), sec. II d.C.
6. Conclusioni
Le tesi a favore del regime di franchigia conseguente al rilascio del certificato in ingresso ai sensi dell’art. 72 del Codice, non si poggiano, come detto, su una norma primaria che disponga tali effetti derogatori al regime di tutela. Una norma del genere, peraltro, alla luce della prorogabilità ad libitum di detti certificati, anche ove fosse disposta, molto difficilmente supererebbe il vaglio di costituzionalità, essendo palesemente contraria all’articolo 9 della Costituzione, che attribuisce alla tutela del patrimonio culturale valore pieno e assoluto. Potrebbe forse sostenersi l’ammissibilità di una deroga in connessione a un ben preciso limite temporale, che potrebbe coincidere, per esempio, con la durata di validità quinquennale del (primo) certificato, o, al più, con la permanenza (anche non continuativa) del bene in Italia in regime di temporanea importazione per al massimo 70 anni (in analogia con la vetustà richiesta per poter sottoporre un bene a tutela ordinaria). Occorre tuttavia considerare che, nell’attuale ordinamento, le istanze di certificazione e delle relative proroghe si basano sostanzialmente nell’affidamento, da parte del privato, di “non tutelabilità” delle opere in ingresso nella vigenza del regime di temporanea importazione, condiviso dalla prassi amministrativa conforme (cfr. Circolare DG ABAP n. 13 del 2019, pag. 47).
Un improvviso cambio di prospettiva, peraltro, comporterebbe per il mondo dei collezionisti, che fanno affidamento su una sorta di “scudo” – indefinitivamente prorogabile - per le opere d’arte in regime di temporanea importazione, conseguenze difficilmente accettabili, sottoponendo quelle stesse opere proprio al rischio dal quale ci si era voluti, attraverso la certificazione in ingresso, sottrarre. La questione non è perciò di facile soluzione. Una volta acclarata la illegittimità di tale regime derogatorio temporalmente indefinito per le opere d’arte provenienti dall’estero, il rilascio della certificazione in ingresso sarebbe finalizzato sostanzialmente, al pari della licenza di importazione europea, ad attestare la regolarità dell’importazione, o comunque la buona fede dell’istante, in caso di successivi accertamenti di carattere investigativo.
Bibliografia
Decreto legislativo n. 42 del 2004, in particolare articolo 72.
Decreto ministeriale n. 246 del 2018.
Regolamento approvato con r.d. 30.1.1913 n. 363.
Parere dell’Ufficio legislativo del Ministero del 2009.
TAR Lazio, n. 1351 del 1999.
Note bibliografiche
[1] In particolare, non è possibile rilasciare un certificato di avvenuta spedizione o avvenuta importazione in relazione a cose di cui non sia stata previamente accertata, anche con il supporto del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale: l’eventuale presenza delle cose stesse nella banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti di cui all’articolo 85 del Codice; la legittimità dell’uscita dai confini nazionali, qualora si tratti di cose la cui provenienza dall’Italia appaia acclarata da documenti, notizie, testimonianze e pubblicazioni che ne comprovino la presenza certa sul territorio nazionale in anni antecedenti, e che può essere dimostrata solo attraverso la produzione delle relative attestazioni rilasciate da un Ufficio di esportazione; la legittimità della loro provenienza; la legittimità della proprietà o della detenzione dichiarate; la loro autenticità; il legittimo possesso, qualora si tratti di beni archeologici; l’eventuale presenza, in relazione ai detti oggetti, di un attestato (ordinario) di libera circolazione in corso di validità.
Abstract italiano
Con il presente articolo si tratteggia il regime di importazione temporanea di opere d’arte e si approfondisce la questione relativa al regime normativo applicabile alle opere entrate in Italia e munite di certificazione in ingresso nel territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 72 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Abstract inglese
This article outlines the temporary importation of works of art and analyses the procedure concerning artwork entered into Italy, pursuant to article 72 of the Code of cultural heritage and landscape.
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