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  • Stefania Bisaglia, Lia Montereale

La diligenza richiesta nei rapporti internazionali concernenti i beni culturali: il caso dell’Atleta di Fano - 2 maggio 2024

*Stefania Bisaglia, dirigente presso il Servizio IV Circolazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura

*Lia Montereale, funzionario amministrativo presso il Servizio IV Circolazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura



1. Premessa

La circolazione internazionale delle opere d’arte e in generale dei beni culturali costituisce da sempre oggetto di dinamiche complesse e delicate, tanto da condurre la comunità internazionale a adoperarsi per sensibilizzare gli Stati sui risvolti negativi, se non addirittura drammatici, che il traffico illecito dei beni culturali causa ai popoli depauperati del loro patrimonio e della loro identità. In tal senso, le convenzioni internazionali si sono rivelate uno strumento importante per rafforzare il controllo e la protezione dei beni culturali delle Nazioni aderenti, in primo luogo, ma anche per divulgare e sensibilizzare quegli Stati che ancora non hanno adeguate leggi e strumenti di tutela. Inoltre, sia in ambito internazionale, ma anche europeo, si è andato affermando sempre più il concetto di dovuta diligenza “due diligence”, che ha gradualmente sostituito quello della (semplice) buona fede. Le convenzioni internazionali vincolano gli Stati aderenti e si applicano dal momento in cui entrano in vigore.

La recentissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2 maggio 2024 concernente il caso di esportazione illecita della statua raffigurante “l’Atleta Vittorioso” ha stabilito un principio innovativo. Infatti, nonostante all’epoca della esportazione illecita della statua il panorama legislativo internazionale fosse ancora debole, tuttavia considerato il forte consenso che mano a mano è andato crescendo nei confronti del diritto internazionale ed europeo riguardo alla necessità di proteggere i beni culturali dall'esportazione illecita e di restituirli al loro paese origine e che il Getty Trust non aveva agito con diligenza al momento dell’acquisto della statua, alla luce di tutto questo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso che le autorità nazionali italiane avessero agito correttamente richiedendo la confisca e la restituzione del bene. Con il presente articolo, dopo aver ripercorso brevemente i caratteri essenziali della Convenzione Unesco 1970 e della Convenzione Unidroit 1995, verrà illustrato il caso dell’Atleta di Fano alla luce dei principi giuridici enunciati nella predetta sentenza.




2. Le Convenzioni internazionali


2.1. La Convenzione UNESCO 1970

La Convenzione UNESCO adottata a Parigi il 14 novembre 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire la illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali, ratificata in Italia con legge n. 873 del 1975 e sottoscritta da oltre un centinaio di Stati, rappresenta il primo documento internazionale in tema di lotta al traffico illecito dei beni culturali. La Convenzione nasce sul presupposto dell’efficacia della collaborazione internazionale per proteggere i beni culturali dal traffico illecito, con l’obiettivo di incidere sul controllo delle esportazioni, contrastando il traffico illecito e il trasferimento indebito del titolo di proprietà di beni culturali. La Convenzione predispone una lista di impegni per gli Stati partecipanti, tra i quali la creazione di appositi servizi nazionali e la predisposizione di inventari dei beni culturali, prevedendo che gli Stati si attivino per reprimere e riparare all’esportazione illecita, cooperando nella ricerca e nel recupero e pubblicando gli episodi di furto o sparizione dei beni.  L’art. 1 della Convenzione contiene una definizione molto ampia di beni culturali, designati dai singoli Stati, elencando le relative categorie di appartenenza. Sono infatti considerati beni culturali i beni che, a titolo religioso o profano, sono designati da ciascuno Stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza e che appartengono alle numerose categorie di beni indicate nella Convenzione stessa. L’art. 4 prevede che i beni culturali (astrattamente individuati dall’art. 1) debbano avere un legame qualificato con lo Stato, in quanto fanno parte del patrimonio culturale di ciascuno Stato nei seguenti casi: a) beni culturali creati dal genio individuale o collettivo di cittadini dello Stato considerato e beni culturali importanti per lo Stato considerato, creato sul territorio di tale Stato da cittadini stranieri o da apolidi residenti su tale territorio; b) beni culturali trovati sul territorio nazionale; c) beni culturali acquisiti da missioni archeologiche, etnologiche o di scienze naturali, con il consenso delle autorità competenti del paese di origine di tali beni; d) beni culturali formanti oggetto di scambi liberamente consentiti; e) beni culturali ricevuti a titolo gratuito o acquistati legalmente con l’assenso delle autorità competenti del Paese di origine di tali beni. L’art. 3 della Convenzione precisa che sono considerati illeciti l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà di beni culturali effettuati in contrasto con le disposizioni adottate dagli Stati partecipanti in virtù della Convenzione. La protezione è concessa in via di principio a tutti i beni (pubblici e privati).


Tutte le ipotesi di traffico illecito, compresa la esportazione di un bene da parte del proprietario in violazione della legislazione dello Stato in cui si trova, sono considerate internazionalmente illecite. Gli impegni degli Stati partecipanti sono molteplici. Ai sensi dell’art. 6 della Convenzione gli Stati si impegnano a: (i) istituire un certificato appropriato mediante il quale lo Stato esportatore specifica che l’esportazione del bene culturale è autorizzata; il certificato deve accompagnare il bene culturale esportato; (ii) proibire l’esportazione dal proprio territorio dei beni culturali non accompagnati dal certificato di esportazione; (iii) portare in modo appropriato a conoscenza del pubblico questa proibizione, e in particolare a conoscenza di quelle persone che potrebbero esportare o importare beni culturali. Ai sensi dell’art. 7 gli Stati si obbligano: a) a adottare tutte le misure necessarie, in conformità con la legislazione nazionale, per impedire l’acquisizione, da parte di musei e altre istituzioni similari dislocate sul proprio territorio, di beni culturali provenienti da un altro Stato parte della Convenzione, beni che sono stati esportati illecitamente dopo l’entrata in vigore della Convenzione; b) i) a proibire l’importazione dei beni culturali rubati in un museo o in un monumento pubblico civile o religioso, o in una istituzione similare, situati sul territorio di un altro Stato parte della Convenzione dopo l’entrata in vigore di quest’ultima nei confronti degli Stati in questione, a condizione che venga provato che tale o tali beni fanno parte dell’inventario di tale istituzione; ii) a adottare misure appropriate per recuperare e restituire su richiesta dello Stato d’origine parte della Convenzione qualsiasi bene culturale rubato e importato in tal modo dopo l’entrata in vigore della Convenzione nei confronti degli Stati interessati, a condizione che lo Stato richiedente versi un equo indennizzo alla persona acquirente in buona fede o che detiene legalmente la proprietà di tale bene. Le richieste di recupero e di restituzione vanno indirizzate allo Stato richiesto per via diplomatica. Lo Stato richiedente è tenuto a fornire a sue spese ogni mezzo di prova necessaria per giustificare la sua richiesta di recupero e di restituzione. Tutte le spese relative alla restituzione dei beni culturali in questione sono a carico dello Stato richiedente. La richiesta di restituzione è supplementare rispetto alla rivendicazione. La Convenzione si applica se il fatto illecito è successivo al 1970.


Gli Stati parti della Convenzione, inoltre, ai sensi dell’art. 13 si impegnano, nel quadro della legislazione di ciascuno Stato: a) a impedire con tutti i mezzi adeguati, i trasferimenti di proprietà di beni culturali diretti a favorire l’importazione o l’esportazione illecite di tali beni; b) a fare in modo che i propri servizi competenti collaborino al fine di facilitare la restituzione, a chi di diritto, nello spazio di tempo più breve, dei beni culturali esportati illecitamente; c) a consentire un’azione di rivendicazione dei beni culturali perduti o rubati esercitata dal proprietario legittimo o in suo nome (la rivendicazione può essere avanzata anche da soggetti privati) d) a riconoscere, inoltre, il diritto imprescrittibile di ciascuno Stato parte della presente Convenzione, di classificare e dichiarare inalienabili alcuni beni culturali che per questo motivo non devono essere esportati, e a facilitare il recupero di tali beni da parte dello Stato interessato nel caso in cui essi siano stati esportati (azione spettante solo agli Stati). L’azione di restituzione avviata da uno Stato potrà avere esito positivo qualora lo Stato richiedente dimostri la sussistenza di un collegamento col proprio patrimonio secondo i criteri indicati dall’art. 4 della Convenzione, e sempre che il bene non presenti analogo collegamento con lo Stato richiesto. La Convenzione prevede l’obbligo di controllo in esportazione, ma non contiene l’impegno generale di impedire l’importazione illecita o di restituire ciò che viene importato illecitamente (salvi i beni rubati di musei o monumenti che risultino inventariati). La Convenzione contiene inoltre il principio dell’equo indennizzo a favore dell’acquirente in buona fede che sia obbligato a restituire il bene, principio di difficile interpretazione che sarà replicato sia nella normativa europea sia nella convenzione Unidroit nel 1995.


2.2.  La Convenzione UNIDROIT 1995

La Convenzione Unidroit del 1995 nasce su incarico dell’UNESCO. L’Unidroit svolge il compito di ampliare la portata della Convenzione UNESCO del 1970, estendendone i meccanismi anche ai beni privati e ai beni (pubblici ed ecclesiastici) non inventariati, alla luce dell’incertezza giuridica corrente nell’applicazione pratica della normativa internazionale e in particolare della diversa tutela accordata dagli Stati nei confronti del c.d. “possessore di buona fede”. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con legge n. 213 del 1999.

La Convenzione si applica alle richieste internazionali di restituzione di beni culturali rubati o illecitamente esportati. L’art. 3 pone in capo al possessore di un bene culturale rubato l’obbligo di restituzione. L’azione è promossa dal proprietario derubato (sia esso uno Stato, o un privato cittadino) entro 3 anni dalla conoscenza del luogo dove si trova il bene e del suo possessore e comunque entro 50 anni dalla data del furto. Non si applica il termine di 50 anni (ma solo quello dei 3 anni dalla scoperta del luogo e del possessore) per i beni che fanno parte integrante di un monumento, di un sito archeologico o di una collezione pubblica o ancora di beni sacri. In tutti questi casi si prescrive una sorta di imprescrittibilità definitiva dell’azione. L’art. 4 prevede un equo indennizzo a favore del possessore in buona fede e che abbia agito con la dovuta diligenza. Nel caso di applicabilità, in astratto, di entrambe le Convenzioni si ritiene preferibile applicare la Convenzione Unidroit in quanto più recente.



3. Il caso dell’atleta Vittorioso e la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 maggio 2024


3.1. Fatto

Il caso, esaminato dalla CEDU e deciso con sentenza del 2 maggio 2024, riguarda un provvedimento di confisca emesso dalle autorità italiane con riferimento al “Giovane Vittorioso” (detto anche “Atleta di Fano”), una statua in bronzo risalente al periodo greco classico che rientra nel possesso del J. Paul Getty Trust (“il Trust”), un’entità legale senza scopo di lucro registrata negli Stati Uniti d’America (USA).

La statua è esposta al Getty Villa Museum di Malibù (California) negli Stati Uniti. Nel 1964 la statua è stata scoperta da pescatori nel mare Adriatico, al largo delle coste italiane, per essere poi venduta a soggetti sconosciuti. Successivamente se ne sono perse le tracce. La statua è poi riapparsa a Monaco dove, nel 1977, fu acquistata dal Getty Trust. Le autorità italiane hanno tentato più volte, invano, di recuperare la statua e, nel 2007, hanno avviato un procedimento di esecuzione che ha portato all’emanazione di un ordine di confisca. Il ricorrente, di conseguenza, ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la statua, tutelata in base alla normativa italiana in materia di beni culturali, fosse stata illecitamente esportata dall'Italia e poi acquistata dal Getty Trust in assenza di diligenza. Anche se oggetto di un acquisto, ne veniva contestata la validità, in quanto era stata violata la legge di tutela italiana trattandosi di bene appartenente allo Stato e come tale inalienabile.

Il Getty Trust ha pertanto fatto ricorso alla Corte di Giustizia dei diritti dell’Uomo (CEDU) lamentando la violazione del diritto di proprietà ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione EDU, soprattutto alla luce delle ripercussioni sul loro “peaceful enjoyment as guaranteed by Article 1 of Protocol No. 1”, a seguito di un possibile riconoscimento dell’ordine di confisca italiano della statua negli Stati Uniti.


3.2. La decisione della Corte EDU

Tenuto conto di quanto sopra illustrato e dell’ampio margine di discrezionalità dello Stato in materia di tutela dei beni culturali (“due to the unique and irreplaceable nature of cultural objects, States enjoyed a wide margin of appreciation where cultural heritage issues were concerned”), la Corte ha ritenuto che l'ordinanza di confisca impugnata fosse stata adottata “nell'interesse pubblico o generale”, nell’ambito dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, al fine di tutelare il patrimonio culturale italiano (“In view of the above and the State’s wide margin of discretion in this area, the Court found that impugned order had been adopted in the public or general interest, within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1, with a view to protecting Italy’s cultural heritage”). La Corte ha ritenuto che l’ordine di confisca trovasse il proprio fondamento giuridico nella legge italiana di settore, nello specifico l’articolo 174, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004, risultando conforme ai principi statuiti nell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della CEDU (“The confiscation order had a basis in domestic law, namely Article 174 § 3 of Legislative Decree no. 42/2004. That basis had been sufficiently clear, foreseeable and compatible with the rule of law, and had therefore been compliant with the principle of lawfulness within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1.”).


Al riguardo, considerata la doglianza del Getty Trust sull’assenza di un limite temporale per l’adozione della contestata misura, la Corte EDU ha osservato che l’assenza di tale limite per le azioni finalizzate al recupero dei beni rubati o illecitamente esportati (…) non potesse essere considerata in automatico quale misura imprevedibile, arbitraria e incompatibile con l’Articolo 1 del Protocollo n. 1 (“The lack of a time-limit was not a factor that, on its own, could automatically lead to the conclusion that the interference in question was unforeseeable or arbitrary and therefore incompatible with the principle of lawfulness within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1.”). La Corte ha ribadito che la tutela del patrimonio culturale e artistico di un Paese costituisce uno scopo legittimo della Convenzione EDU. La legittimità di tale scopo è stata ulteriormente dimostrata dai successivi sviluppi del diritto internazionale ed europeo: diversi strumenti internazionali hanno sottolineato l’importanza della tutela dei beni culturali dall’esportazione illecita, come nel caso della Convenzione UNESCO concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali (1970), la Convenzione Unidroit sui beni rubati o illecitamente esportati (Divieto e prevenzione dell’importazione, dell’esportazione e del trasferimento illeciti di proprietà) del 1995, la Direttiva 2014/60/UE sulla restituzione dei beni culturali usciti illegalmente dal territorio di uno Stato membro e il Regolamento 116/2009/CE sull’esportazione di beni culturali (“In this connection, the Court notes that the principles applied by the Court of Cassation in respect to the imposition of confiscation in case of unlawful exportation are confirmed by the developments in the international legal framework. In particular, Article 1 of the 1995 UNIDROIT Convention provides that it applies to the return of cultural objects removed from the territory of a Contracting State contrary to its law regulating the export of cultural objects (see paragraph 160 above), thereby referring to domestic law as regards the formalities that must be complied with in order to export cultural objects and a breach of which justifies restitution claims. As regards European Union Law, Article 2 of Regulation 116/2009/EC provides that [t]he export of cultural goods outside the customs territory shall be subject to the presentation of an export licence”).


La Corte ha ritenuto che le autorità nazionali italiane avessero ragionevolmente dimostrato che la statua faceva parte del patrimonio culturale italiano ed erano di proprietà dello Stato al momento dell’emissione del provvedimento di confisca. Tali conclusioni non sono state considerate né manifestamente errate né arbitrarie. Inoltre, le autorità nazionali avevano ragionevolmente sostenuto che in ogni caso la misura era stata perseguita allo scopo di recuperare un oggetto di interesse culturale che era stato sottratto senza che fossero rispettati i relativi obblighi di denuncia e che era stato successivamente esportato senza la necessaria licenza di esportazione e il pagamento dei relativi dazi doganali pertinenti, senza considerare il fatto che fossero di proprietà dello Stato (“the Court considered that the domestic authorities had reasonably demonstrated that the statue formed part of Italy’s cultural heritage and had been owned by the State when the confiscation order had been issued. Those conclusions had neither been manifestly erroneous or arbitrary. Moreover, the domestic authorities had reasonably argued that in any event the measure had pursued the aim of reobtaining control over an object of cultural interest which had been taken to the mainland without the relevant reporting obligations being complied with, and which had been subsequently exported without the necessary licence and payment of the relevant customs duties, irrespective of whether it have been owned by the State. The Court also noted that the principles applied by the Court of Cassation in relation to the imposition of confiscation in case of unlawful exportation were confirmed by the developments in the international legal framework”). La Corte ha inoltre precisato che i principi applicati dalla Corte di Cassazione in relazione all’imposizione della confisca in caso di esportazione illecita sono stati confermati dai successivi sviluppi nel quadro giuridico internazionale.


Sulla natura della transazione – l’acquisto di un bene culturale – la Corte ritiene che l’acquirente dovrebbe indagare attentamente sulla provenienza per evitare possibili richieste di confisca. Nel caso di specie, i tribunali italiani, dopo aver esaminato le prove disponibili e considerando le argomentazioni del Getty Trust, avevano concluso che, acquistando la statua in assenza di prove sulla sua legittima provenienza e consapevoli delle pretese di recupero e restituzione delle autorità italiane sul bene, il Trust aveva agito con negligenza, se non addirittura in malafede. Le pronunce giurisdizionali dello Stato italiano non possono pertanto considerarsi arbitrarie o manifestamente irragionevoli. Nelle circostanze del caso, a causa della natura della transazione, i rappresentanti del Trust avevano il chiaro dovere di adottare tutte le misure ragionevolmente possibili, indagando sulla legittimità della provenienza della statua prima di acquistarla. Purtroppo non hanno agito in tal senso. Inoltre, poiché il Trust era a conoscenza dell’assenza, ai sensi del diritto italiano, di un termine per adottare la misura di confisca finalizzata al recupero dei beni culturali illecitamente esportati, non si può sostenere che lo stesso possa aver maturato un legittimo affidamento sulla legittimità del possesso della statua, dato che diverse autorità statali (italiane) avevano lavorato ininterrottamente con l’obiettivo di recuperarla. Né si può affermare che sia sorta in capo al Trust alcuna legittima aspettativa in merito alla possibilità di ottenere un risarcimento.



4. Conclusioni

In conclusione, in base alla pronuncia della Corte, il Getty Trust non ha agito con la dovuta diligenza al momento dell’acquisto della statua. La Corte ha perciò respinto il ricorso presentato dal Getty Trust, dichiarando che non vi è stata violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1 CEDU da parte dello Stato italiano, in relazione alla confisca dell’Atleta Vittorioso di Fano. Per quanto riguarda il comportamento delle autorità nazionali, anche queste hanno commesso errori occasionali, i quali sono però da attribuire alla condotta negligente o in malafede del ricorrente. Inoltre, all’epoca dei fatti (al momento in cui la statua era stata esportata e acquistata dal Getty Trust), esse hanno operato in presenza di un vuoto normativo che non ha facilitato il recupero della statua né consentito la piena collaborazione delle autorità straniere.

La mancata diligenza del Getty Trust, inoltre, si è posta in contrasto con il forte consenso nei confronti del diritto internazionale ed europeo riguardo alla necessità di proteggere i beni culturali dall'esportazione illecita e restituirli al loro paese origine, che si è andato rafforzando nel corso degli anni.

La Corte ha concluso che le autorità nazionali italiane avessero agito correttamente senza superare il loro “margin of appreciation” (“Overall, and noting the State’s wide margin of discretion as to what was “in accordance with the general interest”, particularly where cultural heritage issues were concerned, the strong consensus in international and European law with regard to the need to protect cultural objects from unlawful exportation and to return them to their country of origin, the Trust’s negligent conduct, as well as the very exceptional legal vacuum in which the domestic authorities had found themselves in the present case, the Court concluded that they had not overstepped their margin of appreciation”).



 

Bibliografia di riferimento

  • Sentenza del 2 maggio 2024 della Corte europea dei diritti dell’uomo

  • Convenzione UNESCO adottata a Parigi il 14 novembre 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire la illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali

  • Convenzione UNIDROIT 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati

 

Abstract

La recentissima sentenza del 2 maggio 2024 della Corte europea dei diritti dell’uomo concernente il caso di esportazione illecita della statua raffigurante “l’Atleta Vittorioso”, esposto al Getty Museum di Los Angeles (USA), ha stabilito che le autorità nazionali italiane avevano agito correttamente richiedendo al Getty Trust la confisca e la restituzione del bene, considerato il forte consenso che mano a mano è andato crescendo nei confronti del diritto internazionale ed europeo riguardo alla necessità di proteggere i beni culturali dall’esportazione illecita e di restituirli al loro paese di origine. Inoltre, sostiene la Corte EDU, va considerato come il Getty Trust non aveva agito con diligenza al momento dell’acquisto della statua. Con il presente articolo, pertanto, dopo aver ripercorso brevemente i caratteri essenziali della Convenzione Unesco 1970 e della Convenzione Unidroit 1995, verrà illustrato il caso dell’Atleta di Fano alla luce dei principi giuridici enunciati nella predetta sentenza.


The recent ruling of 2 May 2024 of the European Court of Human Rights concerning the case of illicit export of the statue depicting the "Victorious Athlete", housed at the Getty Museum, in Los Angeles (USA),  established that the Italian national authorities had acted correctly by requesting the confiscation and the return of the statue, considering the strong consensus that had gradually grown towards international and European law regarding the need to protect cultural goods from illicit export and return them to their country of origin. Furthermore, according to the Court, it must be considered that the Getty Trust had not acted with diligence when purchasing the statue. With this article, therefore, after having briefly reviewed the essential characteristics of the 1970 UNESCO Convention and the 1995 Unidroit Convention, the case of the Victorious Athlete will be illustrated in the light of the legal principles enunciated in the aforementioned judgement.


*Le immagini sono state liberamente scaricate dal sito web del Getty Museum in versione public domain (https://www.getty.edu/art/collection/object/103QSX).

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Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma n. 68/2022 del 10 maggio 2022

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