*Stefania Bisaglia, dirigente presso il Servizio IV Circolazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura
*Lia Montereale, funzionario amministrativo presso il Servizio IV Circolazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura
Il Miracolo delle Quaglie (the Miracle of the Quails) di Jacopo Bassano. Foto tratta dal sito web del Getty Museum da cui è liberamente scaricabile in versione public domain (https://www.getty.edu/art/collection/object/10A1D3?altImage=5b74e6ca-8a68-4971-88ce-fde4a49e7e8d)
1. Premessa
Si sono verificati alcuni casi, ai quali è stata data ampia risonanza mediatica, relativi a opere d’arte di particolare pregio, attribuibili a Maestri dell’arte italiana, che sono state acquisite da prestigiose istituzioni culturali straniere dopo aver ottenuto l’attestato di libera circolazione da parte degli uffici ministeriali italiani.
Tali opere d’arte, descritte nell’istanza di attestato in modo lacunoso e/o generico, sono state poi presentate all’ufficio esportazione in cattivo stato conservativo, e hanno perciò ottenuto il rilascio dell’attestato di libera circolazione sulla base di un’istruttoria carente, sulla cui base è stato esercitato il potere di annullamento in autotutela da parte dello stesso Ministero, successivamente, però, alla scadenza del termine “ragionevole” di legge. Ciò in quanto la presa di coscienza dell’errore, da parte del Ministero, è avvenuta solo molti mesi dopo il rilascio dell’attestato, con conseguente esercizio “tardivo” dell’azione di annullamento in autotutela.
In ogni caso, l’esercizio dell’autotutela, una volta che l’opera è all’estero, o comunque sta per essere immessa nel mercato tramite un’asta pubblica, pone da un lato un problema di “affidabilità” – anche internazionale – del titolo rilasciato, valido per l’espatrio, e dall’altro il problema della “rimediabilità” dell’errore-vizio, posto che l’opera – salva la spontanea reimportazione in Italia da parte dell’interessato – è nella maggior parte dei casi di fatto irrecuperabile.
2. L’autotutela del provvedimento amministrativo. Il superamento del termine ragionevole nel caso di “false rappresentazioni”
L’articolo 21-novies della legge n. 241 del 1990 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo possa essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 12 mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20 (per silenzio-assenso), e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Le condizioni richieste dall’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990 per poter agire in autotutela nei confronti di un attestato di libera circolazione sono pertanto:
la illegittimità del provvedimento, ossia la presenza di un vizio tra quelli elencati nell’articolo 21-octies (violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza);
le ragioni di interesse pubblico, normalmente coincidenti con l’interesse culturale dell’opera;
il termine ragionevole, al momento individuato dal legislatore in 12 mesi dall’adozione del provvedimento, ove si tratti di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
L’attestato di libera circolazione, in quanto titolo all’esportazione e perciò provvedimento autorizzatorio, che sia stato rilasciato (erroneamente) per un’opera avente interesse culturale, a seguito di un’istruttoria viziata da eccesso di potere, può pertanto essere oggetto di annullamento in autotutela da parte dell’amministrazione rilasciante[1]. Qualora l’azione in autotutela intervenga dopo un lasso di tempo significativo dal rilascio dell’attestato, si pone il problema dell’affidamento del soggetto che abbia confidato, senza colpa, nella validità dell’atto dell’amministrazione.
Con riferimento al termine ragionevole, ora fissato in 12 mesi dall’adozione del provvedimento, l’articolo 21-novies, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, prevede che lo stesso possa essere superato in due ipotesi, ossia quando il provvedimento amministrativo sia stato conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato accertate con sentenza passata in giudicato[2].
Benché la formulazione della norma non sia chiara circa la riconducibilità della sentenza penale con valore di giudicato a una o a entrambe le ipotesi elencate, la giurisprudenza (si veda in particolare Consiglio di Stato n. 3940/2018) ha precisato che le false rappresentazioni, idonee al superamento del termine di 12 mesi, non richiedono l’accertamento con giudicato penale, condizione che si riferirebbe alla sola (e diversa) ipotesi delle auto-certificazioni false o mendaci.
Per quanto riguarda le false rappresentazioni rese in sede di richiesta di attestato di libera circolazione, l’orientamento giurisprudenziale, seppure non sempre favorevole all’amministrazione, è costante nell’affermare che è consentito all’amministrazione culturale agire in autotutela oltre il termine di 12 mesi tutte le volte in cui il privato, con il proprio comportamento non soltanto doloso, ma anche colposo, abbia contribuito, con efficienza causale determinante, all’invalidità del potere amministrativo, senza che occorra un giudicato penale che in qualche modo accerti dette falsità.
3. L’interpretazione evolutiva della giurisprudenza amministrativa sul termine ragionevole con riferimento all’esportazione di beni culturali
Secondo un primo orientamento del Giudice amministrativo (cfr. TAR Lazio, sentenza n. 10018 del 2018, non appellata, relativa a due dipinti del Guardi) il termine di 18 mesi (ora portato a 12) previsto dall’art. 21-novies citato, entro il quale sarebbe esercitabile l’azione di annullamento in autotutela da parte dell’amministrazione, non sarebbe applicabile ai titoli all’esportazione.
In tale occasione il Giudice amministrativo, in maniera molto netta, ha infatti affermato che detta norma “non risulta applicabile nella materia in esame, non potendo riconoscersi la natura di “autorizzazione”, nel senso inteso dall’art. 21 nonies della legge n. 241/90, ai provvedimenti che consentono l’esportazione all’estero di cose d’arte, ed essendo comunque il termine previsto da tale disposizione incompatibile con la rigorosa normativa di tutela dei beni culturali, che ne proibisce radicalmente la dislocazione al di fuori del territorio nazionale”.
Secondo questa prima impostazione “il provvedimento che autorizza l’esportazione di una cosa d’arte si colloca al di fuori dell’ambito dei provvedimenti autorizzatori o concessori contemplati dall’art. 21 nonies in esame”.
L’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990 non potrebbe perciò trovare applicazione nel caso dell’autorizzazione all’esportazione di beni culturali, “contrastando apertamente con l’interpretazione logico-sistematica e con la chiara disciplina restrittiva dettata dalla normativa di settore, che non contempla alcuna forma tacita di autorizzazione per l’espatrio delle cose d’arte, proprio perché il superiore interesse nazionale (quindi non il mero interesse pubblico, bensì l’interesse della Comunità Nazionale a non essere deprivata di un’opera che ha un valore identitario e quindi costituisce una componente fondamentale del Patrimonio Culturale Nazionale) non permette di attribuire a un mero fatto giuridico (qual è il decorso del tempo) un effetto di vanificazione dell’interesse collettivo protetto per privilegiare l’interesse meramente patrimoniale del proprietario di conseguire un profitto mediante la vendita del bene all’estero”.
Questo primo orientamento, decisamente tranchant, in quanto volto a escludere gli attestati di libera circolazione dal novero delle autorizzazioni soggette al termine di legge ai sensi dell’art. 21-novies, è destinato a essere superato qualche anno dopo dallo stesso TAR Lazio, anche alla luce della giurisprudenza nel frattempo intervenuta sull’esegesi applicativa della norma.
Il Giudice amministrativo, nel 2021, ha infatti precisato che il termine di cui all’articolo 21-novies della legge n. 241 del 1990 non trova applicazione qualora il comportamento della parte interessata abbia indotto in errore l’amministrazione, distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della stessa e/o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento, in quanto l’ordinamento non può tollerare lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata (cfr. sentenza del Consiglio di Stato, n. 2207 del 2021). Nella stessa pronuncia il Giudice afferma che è del pari congruo che il termine “ragionevole” (massimo di diciotto mesi, ora di dodici) decorra solo dal momento in cui la pubblica amministrazione abbia appreso dell'errore-vizio del provvedimento rilasciato.
Anche alla luce di tale orientamento, che sostanzialmente consente di superare il termine di legge ogni qual volta l’errore non sia causalmente riconducibile all’amministrazione, ma piuttosto alla condotta dell’interessato (il quale non potrebbe perciò vantare quel legittimo affidamento a difesa del quale è disposto il termine stesso), le successive pronunce del Giudice amministrativo in materia di circolazione internazionale di opere d’arte hanno precisato che, qualora il titolo abilitativo sia stato ottenuto dall’interessato in base a una falsa o, comunque, erronea rappresentazione della realtà, all’amministrazione è consentito esercitare il proprio potere di autotutela anche oltre il termine dei 12 mesi dal provvedimento e ciò indipendentemente dall’esistenza di un giudicato penale.
Il Giudice, quindi, pur comprendendo l’attestato di libera circolazione tra quei provvedimenti di autorizzazione soggetti al termine ragionevole di cui all’art. 21-novies, ne ha comunque consentito il superamento se pur nei limiti ermeneutici anzidetti.
In particolare, il Giudice di prime cure, relativamente a un’opera mirabile di Jacopo da Bassano, acquistata da un museo statunitense ove è attualmente esposta, presentata all’ufficio esportazione in condizioni di scarsa leggibilità e con una attribuzione dubitativa “a Bassano”, richiamando la giurisprudenza in tema di tutela del legittimo affidamento, ha poi concluso per l’attribuzione dell’errore al soggetto istante: “Le superiori considerazioni trovano riscontro in quella giurisprudenza secondo cui, affinché possa riscontrarsi una posizione di “legittimo” affidamento, occorre che la parte privata sia beneficiata da un pregresso atto amministrativo, costitutivo di una situazione di vantaggio acquisita “in buona fede”, consolidatasi nel proprio patrimonio giuridico per via del decorso di un apprezzabile periodo temporale”. La pronuncia, come si vedrà, è stata tuttavia annullata in sede di appello, stante la ritenuta piena attribuibilità dell’errore-vizio all’amministrazione, con conseguente illegittimità dell’annullamento tardivo.
Dipinto senza cornice - Dipinto a olio su tela senza cornice raffigurante “soggetto biblico”. Autore, epoca o scuola: “Attr. A Bassano” (Foto tratta dal SUE - sistema informativo uffici esportazione, su autorizzazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio).
In un’altra pronuncia, relativa a un’opera attribuita da alcuni studiosi a Caravaggio, il Giudice di primo grado, con riferimento a un annullamento “tardivo” di un attestato a scarico da parte del Ministero, ha ritenuto legittima l’azione in autotutela intrapresa “fuori” termine affermando: “Valorizzando tale previsione, questa Sezione ha già avuto modo di argomentare, in diversi precedenti (peraltro resi con precipuo riferimento a fattispecie del tutto analoghe a quella oggetto del presente contenzioso, concernenti la rimozione in autotutela di attestati di libera circolazione intervenuta, in alcuni casi, anche a distanza di qualche anno dal relativo rilascio), che i diciotto (ora dodici) mesi non risultano di ostacolo all’adozione del provvedimento di secondo grado tutte le volte in cui il privato, con il proprio comportamento non soltanto doloso, ma anche meramente colposo, abbia, con efficienza causale determinante, contribuito all’invalidità del potere amministrativo, senza che occorra un giudicato penale” (TAR Lazio n. 14221 del 2022).
Ancora, con riferimento questa volta all’annullamento oltre il termine di legge di un attestato rilasciato per un’opera di straordinario valore culturale indicata nella denuncia come di “Scuola italiana” e poi rivelatasi di Giorgio Vasari, presentata all’ufficio esportazione in condizioni di scarsa leggibilità e successivamente riapparsa in tutto il suo splendore nel sito di una collezione londinese, il Giudice di primo grado ha affermato: “Tuttavia, il limite temporale, ora fissato a 12 mesi, per rimuovere un atto illegittimo in autotutela non opera, qualora, in difetto di responsabilità dell’amministrazione, l’illegittimità sia stata determinata da una falsa rappresentazione di circostanze rilevanti ai fini del decidere, imputabile al dolo o alla mala fede oggettiva del richiedente” (TAR Lazio n. 10294 del 2022).
Dipinto olio su tela raffigurante figura femminile. Autore, epoca o scuola: “Scuola italiana”. (Foto tratta dal SUE - sistema informativo uffici esportazione, su autorizzazione della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio).
Nelle ipotesi esaminate, secondo il Giudice, infatti, difetta in capo al privato qualsivoglia affidamento che possa dirsi incolpevole e, dunque, legittimo, con conseguente possibilità per la pubblica amministrazione di ripristinare sine die la legalità violata senza, oltretutto, doversi fare carico dell’accertamento di un interesse pubblico, attuale e concreto, ulteriore e diverso dall’esigenza di ripristino in parola. In tali casi, secondo la giurisprudenza amministrativa citata, il termine di 12 mesi non decorre perciò dall’adozione del provvedimento, ma dalla (successiva) scoperta dell’errore da parte dell’amministrazione.
A pochi mesi di distanza si è pronunciato il Consiglio di Stato sul “caso Bassano”, sopra richiamato (sentenza n. 9962 del 2023). La pronuncia d’appello ha annullato la sentenza di prime cure, pur confermando, in astratto, il principio giurisprudenziale in base al quale la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo al medesimo un affidamento legittimo, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.
Nel caso specifico, tuttavia, il Giudice non ha ritenuto applicabile tale principio: “Orbene, nel caso di specie, anche a voler seguire la tesi “estensiva”, non emerge tuttavia la falsa, nel senso di non veritiera, prospettazione di parte, nei termini necessari richiesti dalla norma al fine di rendere inapplicabile il predetto termine ragionevole ex lege”.
Infatti, la non compilazione di voci non obbligatorie del modello di istanza, o anche la non corretta indicazione di paternità, cronologia, provenienza e committenza non possono qualificarsi come falsità o elementi inveritieri. Parimenti, la presentazione all’ufficio esportazione di un dipinto in condizioni conservative non buone, sporco e con una patina che ne offuschi la qualità pittorica in maniera importante, non costituisce una falsità e neppure un comportamento idoneo a trarre in inganno personale particolarmente qualificato, che istituzionalmente ha il delicato e fondamentale compito di esaminare beni di rilevanza culturale.
Conseguentemente, non è stata ritenuta sussistente la falsa (nel senso di non veritiera) prospettazione di parte, in quanto l’opera presentata, secondo il Supremo Consesso, era stata correttamente attribuita al maestro “Bassano” (“Se da un canto parte istante ha correttamente indicato l’attribuzione all’autore Jacopo da Bassano nonché il tipo di soggetto rappresentato (un episodio presente nella Bibbia), da un altro canto l’incompletezza nel precisare i due elementi non rende quanto dichiarato falso, non potendosi escludere che l’apporto informativo perfettibile fosse coerente con i dati in plausibile possesso di un privato, di per sé meno preparato sul punto rispetto ai soggetti istituzionalmente incaricati di tali delicate attività”). Secondo il Giudice, anche di fronte a un titolo generico, peraltro giustificato a sua volta dall’essere l’episodio rappresentato e conosciuto con più nomi, non poteva quindi affermarsi la compartecipazione di entrambe le parti nell’errore valutativo.
Conclusivamente, il Giudice, sulla base di argomentazioni non pienamente condivisibili e nonostante i numerosi elementi indiziari evidenziati dall’amministrazione, ha ristretto enormemente la fattispecie di “false rappresentazioni”, addossando per intero all’Amministrazione esaminante, per il suo ruolo di “esperta”, l’errore vizio, causa del successivo annullamento (tardivo) in autotutela. Nonostante quindi l’incerta attribuzione, l’omissione della storia collezionistica, l’indicazione di un titolo generico e la presentazione dell’opera in condizioni non ottimali, che nei fatti hanno impedito il riconoscimento, in sede di esportazione, di un capolavoro dell’arte italiana consentendone la fuoriuscita dai confini nazionali, il Giudice non ha ravvisato l’errore giustificabile dell’amministrazione (ovvero le false rappresentazioni attribuibili alla condotta dolosa, equiparabile alla colpa grave, del privato istante) che avrebbe legittimato l’esercizio dell’azione in autotutela ben oltre il termine di 12 mesi dall’adozione dell’atto, ma pur sempre nell’immediatezza della scoperta dell’errore.
Anche il TAR Veneto, con la recente sentenza n. 182 del 2024, sulla scia del Consiglio di Stato da ultimo citata, ha ritenuto illegittimo l’annullamento, da parte dell’amministrazione, di un attestato di libera circolazione rilasciato tre anni prima e attribuito, in sede di denuncia, alla “Bottega di Guercino”. Secondo la tesi dell’amministrazione, i dati a suo tempo dichiarati dalla proprietà erano da considerarsi incompleti, falsati e parziali, circostanze che, emerse in maniera evidente solo successivamente al rilascio dell’attestato, in occasione di una mostra mercato, avrebbero determinato l’ufficio esportazione a rilasciare un attestato di libera circolazione illegittimo. Il Giudice amministrativo ha invece accolto il ricorso della proprietà, ritenendo che le tesi sostenute dall’amministrazione non fossero idonee a dimostrare che il richiedente avesse conseguito il titolo autorizzatorio indebitamente, e cioè con dolo o colpa grave. In tale ipotesi, secondo il giudice amministrativo, non ricorrevano quindi le condizioni di cui all’articolo 21-novies, comma 2-bis, per superare il termine ordinario per l’esercizio dell’autotutela. Secondo il TAR Veneto: “La ricorrente ha contestato, in radice, la sussistenza dei presupposti che, ai sensi dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, legge 241/1990, presiedono al legittimo esercizio dell’autotutela oltre il termine di diciotto mesi, ricostruendo analiticamente l’attività istruttoria svolta, sostenendo e dimostrando come non siano state mai rese “false rappresentazioni di fatti” o “dichiarazioni false”. Non ogni incompletezza, omissione, errore, imprecisione nella redazione delle istanze può essere valorizzata ai fini del legittimo esercizio dell’autotutela oltre il termine previsto dall’art. 21-nonies, comma 1, legge 241/1990. Occorre, invece, che sussista una “falsa rappresentazione” dei fatti idonea ad indurre in errore l’amministrazione, ossia una rappresentazione di fatti divergente dalla realtà (quindi falsa, o anche solo parziale) di cui l’amministrazione non possa avvedersi nel corso di un’ordinaria istruttoria e che disveli, pertanto, un intento fraudolento o malizioso del richiedente, come tale non meritevole di tutela”.
Appare evidente come il Giudice veneto abbia colto al volo il cambiamento impresso dal Consiglio di Stato all’orientamento giurisprudenziale dominante, con l’effetto, di dubbia costituzionalità, di restringere arbitrariamente il campo delle “false rappresentazioni” al fine di garantire il pedissequo rispetto del termine di legge.
4. Conclusioni
Alla luce dell’evoluzione, in senso restrittivo e non del tutto coerente con la tutela costituzionale assegnata al patrimonio culturale dall’art. 9, dell’orientamento giurisprudenziale favorevole al superamento del termine ragionevole per l’annullamento, in autotutela, di titoli all’esportazione di opere d’arte, allo stato attuale non risulta agevole determinare la sussistenza, nel caso concreto, di quelle “false rappresentazioni” che consentirebbero di agire anche oltre il termine ragionevole e in assenza di un giudicato penale.
La giurisprudenza, infatti, da un lato ha evidenziato come, in linea di principio, la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo al medesimo un affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte. Tuttavia, la stessa giurisprudenza, dall’altro lato, ha anche precisato come omissioni e imprecisioni in sede di denuncia così come la presentazione all’ufficio esportazione di un dipinto in condizioni di scarsa leggibilità non costituiscono falsità o elementi inveritieri di rilievo.
Tutto ciò considerato, sembrerebbe perciò preferibile non dar corso a istanze in cui la mancanza o insufficienza di informazioni, unitamente alla scarsa leggibilità dell’opera, non consentano la adeguata valutazione dell’interesse culturale. Tali istanze, comunque limitate, potrebbero perciò essere dichiarate improcedibili per mancanza di elementi istruttori sufficienti a formulare un giudizio tecnico-scientifico. Tale soluzione si configura come la più idonea a garantire la tutela del patrimonio culturale nazionale assicurando, nei casi di dubbia o difficile risoluzione, la permanenza del bene entro i confini nazionali.
Note bibliografiche
[1] Anche un provvedimento di diniego all’esportazione senza il prescritto preavviso potrebbe configurare un provvedimento illegittimo meritevole di annullamento; in questo caso, però, la condizione del “termine ragionevole” non opera, in quanto l’azione in autotutela riguarda non un atto attributivo di vantaggi ma sfavorevole per il destinatario del diniego, e, al contrario del caso riguardante l’attestato, non si pone un problema di “affidamento” del destinatario.
[2] “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”.
Abstract italiano
Il presente articolo intende illustrare la questione afferente al superamento del termine di 12 mesi per procedere con l’annullamento d’ufficio, nelle ipotesi di cui all’articolo 21-nonies (rectius: novies), comma 2-bis, della legge 241 del 1990. La questione è ancora sub iudice e le sentenze in materia non sono al momento del tutto coerenti (in taluni casi si sono espresse in senso favorevole all’amministrazione, in altri casi in senso sfavorevole, accogliendo il ricorso della parte privata). Verrà comunque richiamato l’orientamento giurisprudenziale prevalente che ha interpretato il comma 2-bis, dell’articolo 21-novies, della legge 241 del 1990, nel senso che è consentito il superamento del termine dei 12 mesi in due differenti ipotesi:
in presenza di false rappresentazioni dei fatti, che non richiedono il giudicato penale;
in presenza di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato accertate con sentenza passata in giudicato.
Abstract inglese
This article intends to illustrate the issue relating the possibility to exceed the 12-month deadline for proceeding with the annulment, in the cases referred to in article 21-novies, paragraph 2-bis, of law 241 of 1990. The issue is still sub iudice and the judge rulings on the matter are not currently coherent (in some cases they were in favor of the administration, in other cases they were not, accepting the private party's appeal). However, the prevailing jurisprudence will be recalled which has interpreted paragraph 2-bis of article 21-novies of law 241 of 1990, in the sense that exceeding the 12-month deadline is permitted in two different circumstances:
in the presence of false representations of facts, which do not require criminal judgment;
in the presence of false or mendacious declarations as a result of crimes ascertained by a final judgement.
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